Svolgere a casa attività lavorative può essere considerato lavoro subordinato

L’INPS ha ingiunto ad un’azienda il pagamento dei contributi previdenziali nei confronti di due coniugi che lavoravano a casa sulla base di un contratto da lavoratore autonomo, assemblando parti di bicicletta.
L’azienda è arrivata fino in Corte di Cassazione opponendosi alle argomentazioni sia del Pretore che del Tribunale, sostenendo la piena autonomia del lavoro svolto dai coniugi.
La Suprema Corte ha tuttavia respinto le censure del ricorrente sostenendo l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato. La legge (L. 877 del 18 settembre 1973) che disciplina il lavoro a domicilio infatti, stabilisce il vincolo di subordinazione quando il lavoratore sia tenuto ad osservare le direttive dell’imprenditore sulle modalità di esecuzione. Con il lavoro a domicilio l’attività lavorativa, anche se logisticamente decentrata, si inserisce nel ciclo produttivo dell’azienda e ne diventa elemento necessario.
Si parla in questi casi di “subordinazione tecnica” intendendo che il lavoratore esegue le direttive dell’imprenditore impartite all’inizio dell’attività lavorativa senza la necessità di sue verifiche ripetute nel tempo.
Si parla invece di lavoro autonomo quando al lavoratore viene data la scelta di come eseguire il lavoro.
Il fatto che il lavoratore svolga la sua attività anche per altri committenti, che non sia fissato un termine rigoroso entro cui consegnare il lavoro commissionato, o che il lavoratore non sia iscritto all’albo delle imprese artigiane non incide sulla qualifica di lavoratore subordinato

sinceramente, mi sembra appena giusto ... questa storia del lavoro a domicilio (storia vecchia, e stravecchia ..) è una forma di sfruttamento assurda e anacronistica, dove si fa lavorare la gente in nero, senza alcun tipo di tutela previdenziale e assistenziale, sottopagandola e costringendola ad autosfruttarsi per racimolare quattro soldi...