annullamento degli atti di gara

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marco panaro
00lunedì 24 maggio 2004 12:47
Conseguenze sul contratto stipulato: tesi dell'inefficacia per mancanza del requisito della legittimazione a contrarre.

Tribunale Amministrativo Regionale Calabria Reggio Calabria 19/5/2004

omissis

1. Con l’odierno ricorso viene lamentata l’accertata illegittimità della condotta del Comune come presupposto per la condanna nei termini richiesti.

2. Il Collegio ritiene di premettere che l’art. 6 della legge 21 luglio 2000 n. 205 devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “tutte le controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale". In ragione di siffatta disposizione spetta al giudice amministrativo la cognizione non solo delle controversie relative alla fase di scelta dell’aggiudicatario dell’appalto, ma anche in ordine alle conseguenze che strettamente discendano dalle decisioni giurisdizionali assunte in merito alle controversie involgenti la fase - connotata dall’esercizio di potestà autoritativa da parte dell’Amministrazione procedente - della selezione pubblica.

L’art.7 della medesima legge, accorpando e rimaneggiando gli artt.33, 34 e 35 del Decr. Legisl. n.80/1998, ha poi sancito il principio del risarcimento del danno, anche mediante la reintegrazione in forma specifica, nelle controversie rientranti nell’ambito della generale competenza del giudice amministrativo ovvero in quelle devolute alla sua giurisdizione esclusiva.

2.1 Lo scrutinio che viene rimesso al giudice amministrativo non coinvolge atti relativi alla fase di esecuzione dell’appalto, scrutinio che resta affidato al giudice ordinario (Cons. Stato, IV, 25.9.2002 n. 4895) ma, come si è detto, attiene alla esclusiva validità di un atto (il contratto) che, seppure riferibile a posizioni delle parti estranee al binomio potere-interesse legittimo, per essere al contrario collegate a posizioni di diritto soggettivo tra contraenti (cioè la parte pubblica ed il soggetto aggiudicatario dopo la stipula del contratto di appalto), vede detta validità (intesa in senso ampio e non con riferimento alle singole clausole) direttamente dipendere dal legittimo svolgimento della prodromica fase di scelta, che connota indefettibilmente il momento di formazione dell’accordo negoziale.

3. In ordine ai rapporti intercorrenti tra l’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione ed il contratto che sia stato stipulato nelle more si sono variamente sostenute le tesi dell’annullabilità relativa, del difetto del potere rappresentativo ex art.1398 cod. civ., della nullità assoluta, della caducazione automatica e del travolgimento del contratto con salvezza dei terzi di buona fede. Propria tale ultima tesi è stata ripresa recentemente (Cons. Stato, IV, 23.10.2003, n. 6666), ove tra l’altro si è affermato che la tesi tradizionale dell’annullabilità relativa del contratto finisce col vanificare la tutela del soggetto controinteressato, il quale, pur avendo ottenuto ragione davanti al giudice amministrativo, ove il contratto sia stato già concluso, resta privo di alcun risultato praticamente utile, non essendo in grado di soddisfare la propria aspirazione finale ad essere il contraente. Il contratto, infatti, sarebbe impugnabile dinanzi al giudice ordinario su iniziativa della sola Amministrazione soccombente nel giudizio amministrativo ed avrebbe una sua vita autonoma, preclusiva di ogni utilità dell’annullamento dell’aggiudicazione in sede giurisdizionale amministrativa, che non sia quella legata alla possibilità di richiedere il risarcimento del danno per equivalente. Similmente la tesi della nullità del contratto non appare convincente in quanto la nullità configura una patologia del contratto consistente in un vizio genetico che lo inficia ab origine, mentre nella specie trattasi di una vicenda sopravvenuta all’annullamento giurisdizionale dell’atto conclusivo della procedura di gara. Peraltro, accogliere la tesi della nullità del contratto significherebbe consentire la proposizione della relativa azione dichiarativa in ogni tempo - stante l’imprescrittibilità della medesima (art. 1422 c.c.) - da parte di chiunque vi abbia interesse e anche la rilevabilità ex officio (ex art. 1421 c.c.), a prescindere, quindi, da una previa rituale e tempestiva impugnazione, da parte dei soli soggetti legittimati a ricorrere, dell’atto amministrativo presupposto viziato (deliberazione di contrattare, bando, aggiudicazione) nel termine di decadenza proprio del giudizio amministrativo. Non persuade conseguentemente neanche la tesi della caducazione automatica dell’intero contratto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione (o di altri atti della serie procedimentale) da parte del giudice amministrativo, caducazione automatica che, del resto, non trova appigli nella lettera della legge e contrasta con il principio della soggezione del contratto alla disciplina del diritto comune.

3.1 Dunque la tesi che appare preferibile è quella della mancanza del requisito della legittimazione a contrarre: la caducazione, in sede giurisdizionale o amministrativa, di atti della fase della formazione, attraverso i quali si è formata in concreto la volontà contrattuale dell’Amministrazione, dà luogo alla conseguenza di privare l’Amministrazione stessa, con efficacia ex tunc, della legittimazione a negoziare; in sostanza, l’organo amministrativo che ha stipulato il contratto, una volta che viene a cadere, con effetto ex tunc, uno degli atti del procedimento costitutivo della volontà dell’Amministrazione, come la deliberazione di contrattare, il bando o l’aggiudicazione, si trova nella condizione di aver stipulato injure, privo della legittimazione che gli è stata conferita dai precedenti atti amministrativi.

Pertanto, ad opinione di tale pronuncia giurisprudenziale, la categoria che viene in gioco in tal caso non è l’annullabilità, ma l’inefficacia, in quanto “nei contratti ad evidenza pubblica gli atti della serie pubblicistica e quelli della serie privatistica sono indipendenti quanto alla validità; i primi condizionano, però, l’efficacia dei secondi, di modo che il contratto diviene ab origine inefficace se uno degli atti del procedimento viene meno per una qualsiasi causa" (così, testualmente, Cons. Stato n. 6666 del 2003 cit.).
marco panaro
00martedì 1 giugno 2004 14:30
Consiglio di Stato sez.V 28/5/2004 n. 3465

7. In ordine alle conseguenze derivanti dall’inefficacia successiva, va precisato che essa deve formare oggetto di mera declaratoria da parte dello stesso giudice che pronuncia la sentenza costitutiva di demolizione dell’atto gravato (coerentemente alla pienezza di giurisdizione che il legislatore del 1998 e del 2000 ha voluto riconoscere al plesso giurisdizionale amministrativo), ed infine che essa non estende i suoi effetti sulle prestazioni medio tempore eseguite. In punto di giurisdizione la soluzione esposta esclude in radice il sorgere di dubbio alcuno circa la spettanza della potestas decidendi (in ordine alla declaratoria di inefficacia) in capo al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva. E’, infatti, evidente che non viene in rilievo una vicenda propria del contratto (come potrebbe essere un suo aspetto patologico), ma degli effetti automaticamente prodottisi sulla fattispecie contrattuale per effetto dell’annullamento della procedura amministrativa di gara (o di un suo segmento). Di qui il corollario, coerente con le esigenze di concentrazione e pienezza della tutela, che il giudice amministrativo, dotato di giurisdizione esclusiva sulla procedura di affidamento, indaghi anche sugli effetti prodotti dall’annullamento della procedura sul contratto medio tempore stipulato. Diversamente opinando sarebbe reintrodotto, in palese contrasto con le scelte del legislatore del 1998-2000, il dispendioso sistema che costringeva il cittadino alla moltiplicazione dei giudizi, con passaggio dall’una all’altra giurisdizione, per poter conseguire il bene dell’effettività della tutela.
marco panaro
00lunedì 21 giugno 2004 15:48
Consiglio di Stato sez.IV 21/5/2004 n. 3355

I quesiti formulati all’indirizzo dell’Adunanza Plenaria vengono di seguito descritti ed illustrati nell’ordine logico nel quale rilevano.

3.- La prima questione che emerge nella disamina della domanda risarcitoria proposta dalla ricorrente è senz’altro quella, per alcuni aspetti decisiva di quelle logicamente successive, relativa agli effetti dell’annullamento giurisdizionale (o in via di autotutela) dell’aggiudicazione di un appalto sulla sorte del contratto d’appalto medio tempore stipulato tra l’amministrazione e l’impresa illegittimamente selezionata, con specifico riguardo agli spazi di tutela riservati dall’ordinamento all’impresa ricorrente (indebitamente pretermessa dall’aggiudicazione).
Com’è noto il problema, che rivela profili di estrema complessità per l’evidente commistione di aspetti pubblicistici e privatistici ravvisabili nella sequenza che connette la fase procedimentale di scelta del contraente a quella, propriamente negoziale, della conclusione dell’accordo, ha impegnato per anni dottrina e giurisprudenza che hanno immaginato e sostenuto soluzioni estremamente diverse tra loro e tentato itinerari ricostruttivi dagli esiti molto distanti.

3.1- Occorre, al riguardo, dar conto del denunciato contrasto giurisprudenziale (che giustifica la remissione della questione all’Adunanza Plenaria) e passare, quindi, in rapida rassegna le ipotesi maggiormente significative tra quelle preferite dalla giurisprudenza, ordinaria ed amministrativa.
3.1.1.- Secondo l’impostazione tradizionale e più risalente della giurisprudenza civile (Cass. Civ. 17 novembre 2000, n.14901; 8 maggio 1996, n.4269; 28 marzo 1996, n.2842; 26 luglio 1993, n.8346), il contratto stipulato sulla base di un’aggiudicazione illegittima è annullabile ai sensi dell’art.1425 o dell’art.1427 c.c. (a seconda della catalogazione dogmatica del vizio alla quale si accede); tale conclusione viene raggiunta sulla base del rilievo che le norme che regolano le procedure ad evidenza pubblica servono a consentire la corretta formazione della volontà del contraente pubblico, sicchè la loro violazione implica un vizio del consenso manifestato dalla pubblica amministrazione o, secondo un’altra ricostruzione, ne rivela l’incapacità a contrarre.
Il corollario più evidente e problematico di tale impostazione è costituito dall’imputazione alla sola pubblica amministrazione della legittimazione alla proposizione della domanda di annullamento del contratto ai sensi dell’art.1441 c.c. (cfr. ex multis Cass. Civ. 21 febbraio 1995, n.1885).
3.1.2- Secondo una diversa ricostruzione, il contratto concluso in esito ad un’aggiudicazione illegittima è affetto da nullità assoluta ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c. per violazione di norme imperative (Cons. St., sez. V, 5 marzo 2003, n.1218; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 29 maggio 2002, n.3177), attesa la natura inderogabile delle disposizioni che regolano la selezione del contraente privato ai fini dell’affidamento di un appalto pubblico.
3.1.3- La prevalente giurisprudenza amministrativa, già prima delle recenti riforme introdotte con il decreto legislativo 31 marzo 1998, n.80 e con la legge 21 luglio 2000, n.205 (che hanno esteso l’ambito della giurisdizione esclusiva amministrativa alle controversie aventi ad oggetto le procedure di affidamento degli appalti pubblici ed il novero dei pertinenti poteri di cognizione e di condanna) ha preferito ricostruire la fattispecie in termini di caducazione del contratto per effetto dell’annullamento della presupposta aggiudicazione (Cons. St., sez,. V, 25 maggio 1998, n.677; sez. V, 30 marzo 1993, n.435), negando così ogni ipotesi di invalidità del negozio giuridico, connettendo la sola conseguenza dell’inefficacia all’eliminazione del provvedimento conclusivo della sequenza procedimentale pubblicistica che ha preceduto la sua conclusione e, soprattutto, escludendo che la stipula del contratto determinasse la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del ricorso contro l’aggiudicazione (Cons. St., sez. VI, 21 ottobre 1996, n.1373).
Tale impostazione teoretica è stata confermata anche dopo le recenti riforme del processo amministrativo, con le precisazioni e le integrazioni di seguito illustrate.
La VI sezione (Cons. St. sez. VI, 5 maggio 2003, n.2332; sez. VI, 30 maggio 2003, n.2992) ha, in particolare, ascritto la fattispecie allo schema della caducazione automatica, che comporta la necessaria ed immediata cessazione dell’efficacia del contratto per il solo effetto dell’annullamento dell’aggiudicazione (senza bisogno, cioè, di pronunce costitutive), sulla base del rilievo della sussistenza di una connessione funzionale tra la sequenza procedimentale pubblicistica e la conseguente stipula del contratto che implica, in analogia alle fattispecie privatistiche del collegamento negoziale, la caducazione del negozio dipendente, nel caso di annullamento di quello presupposto.
La IV sezione (Cons. St., sez. IV, 27 ottobre 2003, n.6666) ha, invece, optato per la diversa catalogazione della fattispecie in termini di inefficacia sopravvenuta relativa, che comporta la cessazione degli effetti del contratto non in via automatica, ma per effetto della necessaria iniziativa giurisdizionale del contraente pretermesso (unico legittimato ad invocarla in suo favore) e con il duplice limite della buona fede dei terzi, in applicazione analogica degli artt. 23, comma 2, e 25, comma 2, c.c. (nel medesimo senso anche Cons. St., sez. VI, n.2992/03 cit.), e dell’eccessiva onerosità della sostituzione del contraente per la pubblica amministrazione, debitrice nella relativa domanda di reintegrazione in forma specifica, ai sensi dell’art.2058 c.c.
Le recenti ricostruzioni giurisprudenziali che annettono (su questo punto, concordemente tra loro) la sola conseguenza dell’inefficacia del contratto all’annullamento dell’aggiudicazione argomentano, inoltre, a contrario tale conclusione dal rilievo che se l’art.14, comma 2, decreto legislativo 20 agosto 2002, n.190 ha espressamente escluso la risoluzione del contratto quale conseguenza dell’annullamento e della sospensione dell’aggiudicazione per i soli appalti relativi alle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale (alle quali si applicano la legge 21 dicembre 2002, n.443 ed il decreto legislativo 20 agosto 2002, n.190), per i contratti aventi ad oggetto appalti diversi da questi ultimi la conseguenza dell’annullamento degli atti della procedura ad evidenza pubblica è proprio quella che la suddetta disposizione ha inteso scongiurare per gli appalti compresi nel suo ambito applicativi, e cioè la risoluzione (da intendersi, tuttavia, come espressione atecnicamente usata dal legislatore per indicare la perdita di efficacia del negozio giuridico).

3.2- Proseguendo nell’illustrazione del dibattito giurisprudenziale passato in rassegna, occorre dar conto, in estrema sintesi, delle critiche indirizzate a ciascuna delle soluzioni riferite e delle lacune riscontrabili a carico di ciascuna di esse, onde raccogliere tutte le relative indicazioni utili ad una diversa ricostruzione della fattispecie in termini maggiormente coerenti con l’ordinamento e, al contempo, satisfattivi di tutti gli interessi coinvolti nelle relative controversie.
3.2.1- All’indirizzo della teoria dell’annullabilità sono state rivolte le seguenti, principali obiezioni: a) le norme sull’evidenza pubblica non sono poste solo nell’interesse della parte pubblica, ma anche, se non soprattutto, in quello delle imprese ad un accesso libero, competitivo e concorrenziale alla contrattazione con le amministrazioni; b) la riserva alla sola pubblica amministrazione della legittimazione a domandare l’annullamento del contratto impedisce una tutela satisfattiva e piena dell’impresa ricorrente che ha ottenuto l’annullamento dell’aggiudicazione; c) l’ascrizione dell’annullamento dell’aggiudicazione alle categorie dell’incapacità di contrattare (art.1425) o dei vizi del consenso (art.1427 c.c.) risulta sprovvista di sufficienti riscontri positivi e di sicure indicazioni argomentative: non si chiariscono i caratteri costituivi della presunta incapacità legale dell’amministrazione e non si precisa il tipo di vizio della volontà nella specie riscontrato.
3.2.2- La tesi della nullità è stata criticata (soprattutto) in quanto assegna ad un fatto sopravvenuto (l’annullamento dell’aggiudicazione) la valenza propria di un difetto genetico (che caratterizza lo schema dell’invalidità radicale) ed in quanto espone il contratto alle inaccettabili conseguenze dell’accertamento della sua nullità, senza limiti di prescrizione (art.1422 c.c.), su iniziativa di chiunque vi abbia interesse ed alla sua rilevabilità d’ufficio (art.1421 c.c.), con conseguente pregiudizio delle pregnanti esigenze di certezza dei rapporti giuridici imputabili alla pubblica amministrazione e di stabilità dei relativi negozi giuridici.
3.2.3- Le recenti ricostruzioni offerte dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, riassumibili, seppure logicamente giustificate da argomenti e presupposti (parzialmente) diversi, nella medesima enunciazione dell’inefficacia del contratto, trascurano, ad avviso della Sezione, la pur necessaria analisi della natura giuridica e della valenza sostanziale dell’aggiudicazione ed omettono l’indispensabile ascrizione della fattispecie ad una delle categorie civilistiche che autorizzano la classificazione della situazione in termini di inefficacia.
Quanto al primo aspetto, si osserva che la disamina delle conseguenze dell’annullamento dell’aggiudicazione non può prescindere dalla necessaria qualificazione di quest’ultima, dalla verifica della portata dei suoi effetti e dalla conseguente ricostruzione del vincolo che la lega al contratto: in mancanza di tale, presupposta ricostruzione dogmatica risulta, infatti, arduo, se non impossibile, pervenire ad una soluzione della questione in esame, coerente con il sistema.
In ordine al secondo profilo, deve rilevarsi che l’affermazione dell’inefficacia va sostenuta dall’individuazione della situazione giuridica che la presuppone e la costituisce: nell’ordinamento civile l’inefficacia non è, infatti, una categoria dogmatica ma fattuale, nel senso che indica la sola conseguenza della perdita degli effetti di un negozio giuridico in alcune fattispecie tipicamente previste (nullità, annullabilità o simulazione del negozio giuridico; risoluzione o rescissione del contratto; verificazione della condizione risolutiva od omessa verificazione di quella sospensiva, scadenza del termine) e non anche la causa dell’originaria o sopravvenuta inidoneità del negozio a produrre i suoi effetti (legali e negoziali).

3.3- Occorre, quindi, ascrivere la fattispecie considerata ad uno dei predetti schemi, al fine di giustificare l’affermazione dell’inefficacia del contratto, principiando la ricostruzione qui prospettata dalla Sezione con l’esame (logicamente antecedente) della valenza dell’aggiudicazione.
3.3.1- La natura giuridica dell’aggiudicazione si presta ad essere decifrata secondo un duplice schema: a) l’atto ha solo valenza provvedimentale (come ritenuto da Cons. Giust. Amm., 20 luglio 1999, n.365; Cons. St., sez. V, 25 maggio 1998, n.677; T.A.R. Sicilia, Catania, 10 settembre 1996, n.1603); b) l’atto ha anche valore negoziale (come ritenuto da Cons. St., sez. IV, 7 settembre 2000, n.4722; VI, 14 gennaio 2000, n.244; sez.V, 19 maggio 1998, n. 633).
3.3.2- Secondo la prima impostazione, l’aggiudicazione è il provvedimento conclusivo della procedura ad evidenza pubblica, con il quale l’amministrazione aggiudicatrice si limita a selezionare l’impresa con la quale stipulerà, in seguito, il contratto d’appalto, senza manifestare, con quello, alcuna volontà negoziale.
3.3.3- La seconda qualificazione dell’aggiudicazione va precisata e chiarita nei termini di seguito esposti.
La procedura ad evidenza pubblica serve a regolare la formazione del consenso della pubblica amministrazione (che, a differenza dei soggetti privati, non è libera di negoziare gli appalti pubblici con chi vuole ed alle condizioni che vuole) sia con riguardo al contenuto dell’accordo, sia con riguardo all’identità del contraente.
Le varie fasi della sequenza procedimentale vanno, allora, classificate, oltre che in termini pubblicistici, secondo lo schema privatistico della formazione del consenso contrattuale.
In coerenza con tali coordinate, il bando dev’essere, quindi, qualificato come invito ad offrire (e, in particolare, come atto prenegoziale che stimola l’iniziativa delle imprese interessate a contrattare e che contiene alcuni elementi del futuro contratto), l’offerta come proposta contrattuale (e, in particolare, come manifestazione della volontà dell’impresa di contrarre alle condizioni offerte) e, infine, l’aggiudicazione come accettazione della proposta (e, in particolare, come manifestazione della volontà dell’amministrazione di affidare l’appalto all’impresa selezionata e di vincolarsi al rispetto delle condizioni dalla stessa proposte, come integrate da quelle contenute nel bando o nel capitolato).
3.3.4- Secondo questa ricostruzione, l’aggiudicazione presenta una duplice natura, amministrativa e negoziale, nel senso che si pone, al contempo, come provvedimento conclusivo della procedura di selezione del contraente privato e di atto giuridico con il quale l’amministrazione formalizza la propria volontà di contrarre con l’impresa scelta ed alle condizioni dalla stessa offerte.
La duplice natura dell’atto implica anche la coesistenza in esso degli effetti dispositivi propri degli atti pubblici e di quelli negoziali tipici degli atti privati.
La diversità della valenza sostanziale ascrivibile a ciascuna delle nature riscontrate non impedisce, tuttavia, di riconoscere un legame indissolubile tra gli effetti relativamente prodotti, sicchè la regola simul stabunt simul cadent va applicata, prima che al rapporto tra aggiudicazione e contratto, agli effetti pubblicistici e privatistici rintracciabili nel medesimo atto di aggiudicazione.
3.3.5- A tale impostazione consegue, inoltre, che l’accordo contrattuale si forma al momento dell’adozione dell’aggiudicazione e che l’eventuale stipula, separata e successiva, del contratto acquista valenza meramente riproduttiva del consenso già manifestato dalle parti e cristallizzato, in tutti i suoi elementi, nell’atto conclusivo della procedura ad evidenza pubblica.
3.3.6- La qualificazione dell’aggiudicazione come atto (anche) negoziale si fonda, peraltro, oltre che sul rilievo della concentrazione in quel provvedimento di tutti gli elementi dell’accordo (sicchè non pare ammissibile una successiva, diversa regolamentazione del rapporto che, quand’anche convenuta dalle parti, risulterebbe affetta da invalidità radicale), anche sul dato positivo offerto dall’art. 16, comma 4, del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440 (ancora in vigore per le parti non tacitamente abrogare da disposizioni successive incompatibili) che, là dove sancisce l’equivalenza dell’aggiudicazione "per ogni effetto legale" al contratto, indica chiaramente la valenza negoziale della prima e la sua idoneità a costituire, da sola, il vincolo contrattuale con l’appaltatore selezionato (di talchè l’eventuale sottoscrizione del documento negoziale, quand’anche prescritta dalla legge, varrebbe come mera conferma di obbligazioni già sorte per effetto diretto dell’aggiudicazione).

3.4- In esito a tale catalogazione dogmatica dell’aggiudicazione, occorre verificarne le conseguenze di diritto in ordine al tema della decisione.
3.4.1- Per il rilevato vincolo logico ed ontologico che lega inscindibilmente la valenza pubblicistica e quella privatistica ascrivibili all’aggiudicazione, l’annullamento giurisdizionale di quest’ultima, che opera, com’è noto, ex tunc, ne elimina gli effetti fin dalla sua adozione, non solo con riferimento al suo contenuto propriamente provvedimentale, ma anche con riguardo a quello tipicamente negoziale.
Ne consegue, ancora, che la demolizione dell’atto con cui l’amministrazione ha espresso la sua volontà negoziale, priva il relativo negozio giuridico dell’elemento essenziale costituito dall’accordo, che deve, quindi, ritenersi insussistente, per effetto dell’elisione dell’atto generativo del consenso di una delle parti.
Tale conclusione vale anche per i casi nei quali una disposizione positiva impone la stipula del contratto, quale documento separato dall’aggiudicazione, posto che, in questi casi, la sottoscrizione dell’atto negoziale vale come riproduzione dell’accordo già formatosi per effetto dell’incontro delle volontà delle parti nella riferita sequenza bando – offerta – aggiudicazione.
3.4.2- La conseguenza di tale impostazione è che il contratto è nullo per mancanza dell’accordo ai sensi del combinato disposto degli artt. 1428, comma 2, e 1325, comma 1, n.1) c.c., come, peraltro, recentemente ritenuto dalla Corte di Cassazione (Cass. Civ., 9 gennaio 2002, n. 193)
A ben vedere, infatti, l’annullamento dell’aggiudicazione non incide sul consenso, nel senso che ne rivela un vizio, ma elimina radicalmente l’atto con il quale è stato manifestata la volontà, sicchè la sua conseguenza più immediata ed evidente va ravvisata proprio nella demolizione, con efficacia retroattiva, di una parte essenziale dell’accordo e, quindi, nell’accertamento (anche se non diretto) della mancanza di quest’ultimo.

3.5 Non pare, peraltro, che le obiezioni comunemente formulate all’indirizzo della tesi della nullità valgano a smentire o confutare la correttezza della relativa impostazione teorica fin qui sostenuta.
3.5.1- La critica che si fonda sulla natura sopravvenuta e non genetica del vizio si basa, infatti, sull’erroneo presupposto che l’annullamento dell’aggiudicazione incida sul rapporto e non sul suo atto giuridico costitutivo.
Sennonchè ogni vizio relativo alla corretta formazione della volontà negoziale o addirittura alla sua esistenza (ivi compresi quelli, di minore gravità, che determinano l’annullabilità del contratto) va riferito al momento genetico del rapporto e non alla sua fase esecutiva e funzionale.
Possono qualificarsi sopravvenute, in particolare, solo quelle vicende che non riguardano direttamente la validità del negozio giuridico ma la sua attuazione (inadempimento, eccessiva onerosità, impossibilità, verificazione della condizione risolutiva), ma non anche quelle che, ancorchè accertate successivamente, attengono proprio al rispetto delle regole che presiedono alla valida conclusone del contratto (come quelle relative all’esistenza dell’accordo).
Non solo, ma l’efficacia retroattiva dell’annullamento giurisdizionale dell’atto impugnato impone di riferire l’efficacia della statuizione demolitoria al momento genetico del rapporto, e cioè alla conclusione del negozio, e non alla sua fase esecutiva, e cioè alla corretta attuazione delle obbligazioni od al funzionamento della causa (del tutto estranee agli effetti della caducazione dell’aggiudicazione).
3.5.2- Quanto alla critica che individua nelle caratteristiche tipiche dell’azione di nullità (legittimazione estesa a tutti i soggetti che hanno interesse, imprescrittibilità, rilevabilità d’ufficio del vizio, natura dichiarativa della relativa pronuncia) la ragione principalmente ostativa all’accoglimento della relativa tesi, si deve osservare che, anche prescindendo dal rilievo che le conseguenze di fatto di una teoria (quand’anche gravi) non valgono ad inficiarne la correttezza, i riferiti caratteri dell’azione in questione vanno coordinati con le regole che presidiano il giudizio amministrativo.
Quando, infatti, una delle parti contrattuali manifesta e cristallizza il proprio consenso in un atto che riveste anche natura provvedimentale (come nella fattispecie in esame), l’accertamento della sua illegalità ed il suo conseguente annullamento soggiacciono alle regole tipiche del processo impugnatorio.
Ne consegue che l’aggiudicazione deve essere impugnata nel prescritto termine di decadenza e che, in difetto di tale tempestiva iniziativa giurisdizionale, resta preclusa la proponibilità dell’azione di nullità.
La natura provvedimentale dell’aggiudicazione impedisce, peraltro, al giudice di accertare d’ufficio la nullità del contratto costituita dall’illegittimità del provvedimento finale della procedura di selezione del contraente (risolvendosi l’esercizio di quel potere nell’inammissibile sindacato ufficioso della legittimità di un atto amministrativo).
La legittimazione a far valere la nullità va, inoltre, riconosciuta alle sole parti che hanno impugnato l’aggiudicazione, quali unici soggetti che hanno manifestato, in concreto, interesse, invocando la rimozione dell’atto invalidante, alla declaratoria della relativa invalidità.
Né varrebbe obiettare che le limitazioni appena segnalate finiscono per snaturare l’azione di nullità e configgono con gli interessi ad essa sottesi, atteso che le pertinenti esigenze di tutela di interessi indisponibili vanno coordinate con quelle, altrettanto rilevanti, di stabilità degli atti amministrativi e di certezza dei relativi rapporti giuridici.
Ne consegue che la riferita, necessaria pregiudizialità dell’annullamento dell’aggiudicazione, ai fini della dichiarazione della nullità del contratto su domanda della sola parte che ha proposto il ricorso, risulta imposta dalle esigenze di rispetto delle regole del giudizio amministrativo impugnatorio e che, di contro, l’applicazione alla fattispecie in esame dell’intera disciplina civilistica dell’azione di nullità si risolverebbe nella inammissibile disapplicazione delle regole che presiedono, a tutela dei pertinenti interessi pubblici, alla tutela giurisdizionale degli interessi lesi da provvedimenti amministrativi (tale essendo, oltre che un atto negoziale, l’aggiudicazione).

3.6- Resta da chiarire che, se è vero che il contratto nullo è radicalmente inidoneo a produrre effetti giuridici (quod nullum est nullum producit effectum), è anche vero che la (voluta) inerzia delle parti nell’invocare l’accertamento della relativa invalidità del negozio e la sua spontanea attuazione non impediscono, pur in assenza delle condizioni della conferma, la regolare esecuzione delle pattuizioni ivi contenute, con conseguente salvezza dell’interesse pubblico alla realizzazione dell’appalto, nei casi in cui non sia ammessa la sostituzione dell’appaltatore.

3.7- Ovviamente l’ipotesi ricostruttiva sopra delineata postula la qualificazione dell’aggiudicazione come atto (anche) negoziale; ove, di contro, dovesse negarsi tale natura e riconoscersi la sua sola valenza provvedimentale, si dovrebbe ricostruire la fattispecie in termini diversi.
3.7.1- Deve, al riguardo, avvertirsi che la prospettata classificazione dell’aggiudicazione come atto negoziale è stata compiuta secondo parametri di valutazione generali e che, invece, l’indagine in concreto della natura dell’atto potrebbe condurre a conclusioni diverse: il regolamento di gara (bando o capitolato) potrebbe precisare che l’aggiudicazione non impegna l’amministrazione alla stipula del contratto (con ciò escludendo la sua valenza negoziale) o una disposizione normativa potrebbe regolare il rapporto tra aggiudicazione e contratto nel senso di negare chiaramente l’equivalenza tra i due atti.
3.7.2- In questi ultimi casi, l’aggiudicazione riveste solo natura provvedimentale, mentre il contratto contiene e riceve le uniche dichiarazioni negoziali delle parti.
3.7.3- Resta, tuttavia, anche in tale situazione, quel vincolo inscindibile tra fase pubblicistica (nella quale si seleziona il contraente) e fase privatistica (nella quale si forma l’accordo e si costituisce il vincolo negoziale) che potrebbe autorizzare le medesime conclusioni sulla nullità del contratto (anche se qui manca quell’effetto diretto di eliminazione dell’atto negoziale).
3.7.4- Si potrebbe, altrimenti, configurare l’aggiudicazione come una condizione di diritto del contratto di appalto, con la conseguenza che la sua eliminazione (e, quindi, il suo venir meno) determina la sopravvenuta inefficacia del negozio per l’intervenuto difetto di una situazione giuridica (la validità e l’efficacia dell’aggiudicazione), la cui persistenza ne condiziona (con valenza risolutiva) l’idoneità a produrre i suoi effetti tipici.

3.8- Come si vede, il quadro delle soluzioni configurate dalla giurisprudenza, ordinaria ed amministrativa (ivi compresa quella proposta con la presente ordinanza ed illustrata al punto 3.4), si rivela composito ed articolato e, perciò, privo di quella necessaria coerenza e di quell’indispensabile sistematicità che, sole, in una fattispecie così rilevante, assicurano la certezza dei rapporti giuridici, l’uniformità delle relative regole di giudizio e, in definitiva, l’effettività della tutela giurisdizionale.
Ne consegue la necessità dell’indicazione di parametri certi e della ricostruzione dogmatica della fattispecie in termini coerenti con il sistema positivo.
Valuterà, quindi, l’Adunanza Plenaria in quale schema privatistico ascrivere l’inefficacia del contratto d’appalto (non risultando, in definitiva, controverso tale effetto) quale conseguenza dell’annullamento dell’aggiudicazione.

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marco panaro
00lunedì 21 giugno 2004 15:50
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4.- Altra questione rilevante nell’analisi della fattispecie in esame è quella dell’applicabilità ad essa degli artt. 23 e 25 c.c., nella parte in cui garantiscono dagli effetti dell’annullamento delle delibere di persone giuridiche private (per le società vedi gli artt.2377, comma 3, e 2391, comma 3, c.c.) la salvezza dei "diritti acquistati da terzi di buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima".
In alcune decisioni (Cons. St., sez. VI n.2992/03; sez. IV, n.6666/03, cit.) si è, in particolare, sancita l’applicabilità dei medesimi principi alla vicenda considerata, sulla base del rilievo dell’identità di ratio e della qualificazione della pubblica amministrazione come persona giuridica ai sensi dell’art.11 c.c.

4.1- Occorre preliminarmente avvertire che l’applicazione alla fattispecie in esame delle disposizioni menzionate consente di distinguere le conseguenze dell’invalidità dell’aggiudicazione nella sfera giuridica del contraente, con riferimento alla natura del vizio riscontrato ed alla partecipazione alla violazione del concorrente selezionato.
Tale possibilità di discernimento degli effetti dell’annullamento dell’aggiudicazione nella sfera giuridica dei terzi soddisfa, a ben vedere, pregnanti esigenze di equità sostanziale.
Basti, al riguardo, pensare alla differenza che corre tra l’ipotesi in cui l’aggiudicazione venga annullata in quanto l’impresa selezionata avrebbe dovuto essere esclusa (in quanto priva dei requisiti di partecipazione o di qualificazione) e quella in cui l’illegittimità accertata consiste nell’omessa sottoscrizione del verbale delle operazioni della commissione da parte di uno dei componenti: mentre, nel primo caso, risulta agevolmente individuabile un concorso consapevole e colposo dell’impresa concorrente alla violazione, nel secondo, di contro, quest’ultima risulta del tutto estranea ed incolpevole nella determinazione del vizio (ad essa neanche indirettamente ascrivibile).
Ne consegue che l’affermazione dell’inopponibilità al contraente in buona fede delle conseguenze sostanziali di un vizio dell’aggiudicazione estraneo alla sua sfera di controllo e di conoscenza permette di tutelare adeguatamente la posizione soggettiva dell’impresa illegittimamente selezionata che risulterebbe, diversamente opinando, esposta essa stessa al pregiudizio patrimoniale derivato dall’annullamento degli atti di gara e, quindi, danneggiata (al pari dell’impresa ricorrente) dall’attività illegale posta in essere dall’amministrazione aggiudicatrice.

4.2- Tuttavia, l’applicabilità degli artt. 23 e 25 c.c. non appare così sicura (come ritenuto nelle decisioni menzionate) e potrebbe essere esclusa sulla base dei seguenti rilievi, l’apprezzamento della cui fondatezza si rimette alla valutazione dell’Adunanza Plenaria.
4.2.1- Occorre, innanzitutto, verificare se le disposizioni richiamate, espressamente dettate per regolare gli effetti delle delibere di persone giuridiche private e, quindi, non direttamente applicabili a soggetti diversi, esprimano o meno un principio generale che ne consenta l’estensione anche ai provvedimenti della pubblica amministrazione, come persona giuridica pubblica.
4.2.2- Si deve, poi, valutare se il contraente dell’amministrazione (che è parte del rapporto generato dall’aggiudicazione) possa o meno considerarsi terzo, posto che solo tale ultima qualificazione autorizza l’applicazione della norma che sancisce l’inopponibilità dell’annullamento delle delibere viziate.
4.2.3- Va, inoltre, risolta la questione relativa all’applicabilità di una norma che disciplina gli effetti di delibere di organi collegiali a provvedimenti amministrativi adottati da funzionari o dirigenti e, quindi, privi del carattere della collegialità.
4.2.4- Merita un chiarimento, da ultimo, la questione relativa alla configurabilità o meno della buona fede (come condizione psicologica presunta) nel caso in cui il ricorso contro l’aggiudicazione sia stato notificato all’impresa aggiudicataria prima della stipula del contratto.

5.- Risolti i problemi sulla natura delle conseguenze dell’annullamento dell’aggiudicazione sul contratto d’appalto, occorre esaminare la questione della sussistenza della giurisdizione amministrativa nella cognizione dei relativi effetti.
Giova, al riguardo, avvertire che la questione della giurisdizione è logicamente successiva (a quelle fin qui esaminate) in quanto la sua risoluzione è direttamente condizionata dalla soluzione offerta al primo quesito, relativo alla sorte del contratto stipulato in esito ad una aggiudicazione illegittima (ed annullata).

5.1- La questione va posta, quindi, con riferimento a ciascuna delle soluzioni ipotizzate al primo quesito nonché con riguardo al tipo di domande al riguardo proponibili.
Si deve, allora, distinguere: a) se la soluzione preferita postula la pronuncia di decisioni costitutive (annullamento, risoluzione del contratto e, forse, inefficacia sopravvenuta) si rivela necessaria la proposizione di domande intese a conseguire una statuizione che elimini gli effetti del contratto e risulta, al contempo, precluso ogni apprezzamento incidentale della sua inefficacia; b) se si ritiene, viceversa, che l’inefficacia del contratto si produca automaticamente (come nei casi della nullità o della caducazione automatica), deve concludersi che tale conseguenza va accertata con pronunce dichiarative e che può anche essere accertata in via incidentale.

5.2.- Ne consegue che, nell’ipotesi sub a), occorre verificare se l’ambito di giurisdizione esclusiva disegnato dall’art. 6 l. n.205/2000, letteralmente circoscritto alle controversie aventi ad oggetto le procedure di affidamento di appalti pubblici, possa estendersi, in via interpretativa, fino a comprendere anche il sindacato diretto dell’invalidità e dell’inefficacia del contratto e, soprattutto, la potestà di adottare pronunce costitutive (quali l’annullamento o la risoluzione).
5.2.1- La giurisprudenza si è finora occupata, a ben vedere, della questione generale della spettanza al giudice amministrativo della potestà cognitiva dell’incidenza dell’annullamento degli atti della procedura ad evidenza pubblica sulla validità e sull’efficacia del contratto - affermandola sulla base dell’apprezzamento delle esigenze di concentrazione in capo ad un’unica autorità giurisdizionale dei poteri attinenti alla delibazione della medesima vicenda sostanziale e della valorizzazione del carattere esclusivo della giurisdizione in materia (cfr. Cons. St.. sez. VI, n.2332/03 ; sez. VI, n.2992/03; sez. IV, n.6666/03 cit; Cons. Giust. Amm., 31 maggio 2002, n.276; T.A.R. Campania, Napoli, sez.I, 29 maggio 2002, n.3177; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 28 febbraio 2001, n.746; ) - ma ha omesso un esame diretto e puntuale della sussistenza della competenza giurisdizionale nell’esercizio di un sindacato diretto (e non incidentale) della validità e dell’efficacia del contratto e nella conseguente adozione di pronunce costitutive.
5.2.2- Deve rilevarsi, al riguardo che, ad avviso della Sezione, l’attribuzione delle controversie relative alle procedure di affidamento degli appalti pubblici alla giurisdizione esclusiva amministrativa risulterebbe del tutto inutile se non si intendesse tale ambito di competenza come comprensivo anche delle questioni relative alla validità ed all’efficacia del contratto (che, sole, paiono concernere diritti soggettivi), che l’esclusione di queste ultime dal novero di quelle conoscibili dal giudice amministrativo sulla base dell’art. 6 legge n. 205 del 2000 determinerebbe l’inaccettabile conseguenza di costringere il ricorrente ad un faticoso, farraginoso e dispendioso itinerario giurisdizionale, dal giudice amministrativo (per l’annullamento dell’aggiudicazione), a quello ordinario (per l’annullamento o la risoluzione del contratto) e, forse, di nuovo a quello amministrativo (per il risarcimento dei danni), per ottenere giustizia di un’unica vicenda sostanziale, con evidente vulnus delle esigenze di economicità, effettività e semplificazione e della tutela giurisdizionale, e, da ultimo, che l’inscindibilità del vincolo che collega gli aspetti pubblicistici e quelli privatistici della contrattazione avente ad oggetti gli appalti pubblici impedisce di giudicare il sindacato diretto della validità e dell’efficacia del contratto estraneo ai confini della giurisdizione esclusiva attinente alla presupposta procedura di affidamento.
5.2.3- La Sezione non ignora che la formulazione letterale dell’art. 6 l. n. 205/2000, là dove limita l’ambito di giurisdizione esclusiva ai soli provvedimenti della procedura di affidamento degli appalti (con conseguente, implicita, esclusione della cognizione di tutti gli atti successivi alla sua conclusione – ivi compreso il contratto), costituisce un rilevante ostacolo alle conclusioni sopra esposte, ma reputa che il riferito dato testuale non impedisce la lettura della disposizione che, in esito ad un’esegesi logico-sistematica del suo ambito applicativo (condotta in ossequio ai canoni ermeneutici sopra indicati), assegna al giudice amministrativo la potestà di conoscere in via diretta le questioni relative alla validità ed all’efficacia del contatto d’appalto, siccome direttamente riferibili all’illegittimità della presupposta aggiudicazione, e di pronunciare le relative statuizioni costitutive (come l’annullamento).
5.2.4- Resta, in ogni caso, esclusa, anche accedendo all’interpretazione estensiva appena esposta, la possibilità di pronunciare la risoluzione del contratto (od altre statuizioni costitutive prive di una connessione diretta con la validità dell’aggiudicazione) che, postulando l’accertamento di vicende relative all’attuazione del rapporto e non immediatamente ascrivibili alla legittimità della procedura di affidamento, risultano senz’altro riservate alla giurisdizione ordinaria.

5.3- In merito alla fattispecie indicata sub b) (al precedente punto 5.1.), occorre ulteriormente distinguere due diverse situazioni processuali: 1) è stata presentata una domanda diretta ad ottenere una pronuncia dichiarativa; 2) non è stata presentata, ma è stata formulata una domanda di reintegrazione in forma specifica che postula l’accertamento incidentale dell’inefficacia del vincolo contrattuale (che costituisce il presupposto indefettibile dell’invocata sostituzione del contraente).
5.3.1- Nel caso sub 1) valgono le stesse considerazioni svolte a proposito delle pronunce costitutive - non ravvisandosi, al riguardo, differenze significative, quanto alla giurisdizione, tra le ipotesi di pronunce dichiarative e quelle di pronunce costitutive.
5.3.2- Nella situazione descritta sub 2) non pare, invece, dubbio, ad avviso della Sezione, che il giudice amministrativo sia dotato della relativa competenza giurisdizionale, anche se, occorre precisare, non ai sensi dell’art.6, ma dell’art.7 della legge n.205 del 2000.
A ben vedere, infatti, a fronte di una domanda di reintegrazione in forma specifica ed in assenza di una domanda intesa ad ottenere la declaratoria della nullità o, comunque, dell’inefficacia del contratto, è proprio (e solo) la norma che attribuisce al giudice amministrativo una potestà cognitiva piena in materia di risarcimento del danno, comprensiva, come tale, di ogni questione incidentale che rileva ai fini dello scrutinio della fondatezza della pretesa risarcitoria, a giustificare l’affermazione della giurisdizione amministrativa in ordine all’accertamento di tutte le situazioni di diritto (ivi compresa l’inefficacia del contratto d’appalto) implicate dalla domanda di risarcimento del danno.

5.4- Si rimette, quindi, alle valutazioni dell’Adunanza Plenaria l’ulteriore questione relativa all’individuazione dei limiti in cui sussista la giurisdizione amministrativa in merito all’accertamento, diretto e incidentale, delle questioni relative alla validità ed all’efficacia del contratto d’appalto ed alla pronuncia delle relative decisioni (costitutive e dichiarative).

6.- Da ultimo, occorre esaminare la questione dell’ammissibilità nel giudizio amministrativo ordinario di una condanna (nella specie espressamente invocata) ad un facere e, in particolare, all’aggiudicazione dell’appalto all’impresa ricorrente.
Il problema, tradizionalmente risolto in senso negativo (cfr. ex multis Cons. St., sez.V, 18 maggio 1998, n.612) sulla base del rilievo ostativo della riserva di amministrazione che impedisce la sostituzione del giudice in valutazioni di esclusiva spettanza dei pubblici poteri, presenta profili inediti in seguito alla recente attribuzione al giudice amministrativo, da parte dell’art. 7 della legge n. 205 del 2000 (che ha modificato l’art. 7 della legge 6 dicembre 1971, n.1034), del potere di condannare l’amministrazione al risarcimento del danno, non solo per equivalente ma anche mediante reintegrazione in forma specifica.
Tale ultima tecnica di riparazione del danno pare, infatti, presupporre la possibilità che il danno patito in conseguenza di un’attività amministrativa illegittima venga risarcito con l’assegnazione al ricorrente, che postula spesso un’ulteriore intermediazione provvedimentale, del medesimo bene della vita sacrificato o danneggiato dall’attività illegale.

6.1- Si deve premettere, in via generale, che la tutela risarcitoria, nei cui confini si iscrive la reintegrazione in forma specifica, serve ad assicurare al danneggiato la restitutio in integrum del suo patrimonio e, quindi, a garantire l’eliminazione delle conseguenze pregiudizievoli dell’attività illecita ascritta al soggetto responsabile.
La riparazione delle conseguenze dannose viene garantita dall’ordinamento mediante due modelli di tutela, tra loro alternativi: quello del risarcimento per equivalente, che riconosce al danneggiato il diritto ad una somma di denaro equivalente al valore della lesione patrimoniale patita e quello della reintegrazione in forma specifica, che attribuisce al soggetto passivo la medesima utilità, giuridica od economica, sacrificata o danneggiata dalla condotta illecita.

6.2- Occorre, al riguardo, precisare che quest’ultima modalità ripristinatoria postula, evidentemente, la preesistenza nel patrimonio del danneggiato della situazione soggettiva della quale si chiede la restituzione in forma specifica, sicchè l’ammissibilità di tale tecnica di risarcimento va coordinata con la tradizione distinzione degli interessi legittimi nella duplice categoria di interessi oppositivi e pretensivi.
Ora, mentre per i primi (così come per i diritti soggettivi, nelle fattispecie di giurisdizione esclusiva), che postulano la titolarità in capo all’interessato del bene della vita al quale è collegato l’interesse legittimo leso, risulta configurabile la reintegrazione in forma specifica, trattandosi di restituire al danneggiato la medesima utilità pregiudicata dall’attività amministrativa illegittima, per i secondi, che presuppongono, invece, la mancanza del bene della vita al conseguimento del quale l’interesse legittimo si pone come strumentale, appare più dubbia l’ammissibilità dell’assegnazione di una posizione di vantaggio che l’interessato non aveva ancora acquisito nella sua sfera patrimoniale e che, quindi, non poteva essere sacrificata dall’azione amministrativa.

6.3- In particolare, all’indirizzo del quesito dell’ammissibilità della tecnica riparatoria in esame per la lesione di interessi pretensivi possono ipotizzarsi tre risposte: 1) non è mai possibile accordare tale tipo di tutela - che si risolverebbe in un’inammissibile sostituzione del giudice alla pubblica amministrazione; 2) è sempre possibile - in quanto strumento di tutela ammesso dal legislatore in via generale per la lesione degli interessi legittimi; 3) è possibile solo nei riguardi di attività amministrativa vincolata, quando l’esito, cioè, dell’ulteriore azione provvedimentale risulta pronosticabile sulla base di parametri certi e di criteri matematici (come, ad esempio, l’aggiudicazione alla seconda classificata di una procedura di gara indetta con il criterio del massimo ribasso, quando l’impresa vincitrice avrebbe dovuto essere esclusa).
6.3.1- Le prime due soluzioni vanno rifiutate in quanto, per il carattere assoluto delle rispettive conclusioni, impediscono di discernere, in concreto, i presupposti e gli esiti dell’attività amministrativa incisa dalla condanna reintegratoria.
6.3.2- Anche la terza, tuttavia, nonostante lo sforzo di conformare le relative conclusioni alla duplice esigenza di rispetto della sfera di competenze riservata all’amministrazione e di garanzia dell’utilità e dell’efficacia della tecnica risarcitoria in esame, si presta a rilievi critici.
A ben vedere, innanzitutto, l’estensione della forma di risarcimento in esame anche agli interessi legittimi pretensivi si risolve nella surrettizia introduzione nel nostro sistema della c.d. azione di adempimento (la vertglichtungsklage dell’ordinamento giuridico tedesco), allo stato sconosciuta al nostro sistema positivo di tutela delle posizioni soggettive connesse all’esercizio delle funzioni amministrative. La condanna dell’amministrazione all’adozione di un provvedimento favorevole al ricorrente postula, infatti, logicamente la configurabilità in capo al privato di un vero e proprio diritto a quell’atto ed in capo all’amministrazione un vero e proprio obbligo alla soddisfazione di quella pretesa. Sennonchè la ricostruzione dei rapporti tra cittadino ed amministrazione in termini di rapporto obbligatorio, anche con riguardo alle tecniche di tutela giurisdizionale, esigerebbe una precisa ed univoca innovazione normativa, che la mera previsione della possibilità di risarcire il danno nelle forme della reintegrazione in forma specifica non risulta idonea ad introdurre, e non si presta ad essere validamente sostenuta senza un adeguato e puntuale riscontro positivo.
La modalità risarcitoria della reintegrazione in forma specifica, a ben vedere, non introduce una forma generalizzata di azione di adempimento (che avrebbe richiesto una coerente qualificazione positiva del relativo strumento di tutela ed una maggiore chiarezza nei suoi contenuti), ma si limita a consentire una forma ripristinatoria della posizione soggettiva tutelata, quando questa risulti compatibile con la natura di quest’ultima, come nei casi di lesione di interessi oppositivi o di diritti soggettivi (nelle controversie di giurisdizione esclusiva).
Se si ammettesse, in definitiva, la tecnica riparatoria in esame per la lesione degli interessi pretensivi si finirebbe per accordare al ricorrente un beneficio superiore a quello che egli avrebbe avuto se non si fosse svolta l’attività lesiva; e ciò in contrasto con tutti i principi che presiedono al risarcimento del danno.

6.4- Quanto alle forme di risarcimento dei danni cagionati dall’attività amministrativa lesiva di interessi pretensivi, occorre, allora, svolgere le seguenti considerazioni.
6.4.1- La forma più immediata e, probabilmente, satisfattiva degli interessi pretensivi è data dal giudicato demolitorio-conformativo che, rimuovendo l’attività amministrativa illegittima ed imponendo la sua rinnovazione nel rispetto della legalità, assicura all’interessato la soddisfazione più pregnante della sua posizione soggettiva, così come ritenuto da quell’indirizzo giurisprudenziale (Cons. St., sez. VI, 18 dicembre 2001, n.6281) che reputa implicita nella domanda di annullamento dell’atto impugnato quella di reintegrazione in forma specifica, per mezzo della riedizione dell’attività amministrativa giudicata illegittima.
L’effetto conformativo insito nella statuizione di annullamento offre, infatti, al ricorrente l’occasione di tutela maggiormente efficace ed utile del suo interesse legittimo, potendo servire, con la semplice rinnovazione dell’attività giudicata illegittima, ad assicurargli in via sostanziale quel bene della vita al quale egli aspira.
6.4.2- Se, tuttavia, l’interessato resta privo di soddisfazione anche in esito alla ripetizione del procedimento, potrà attivare lo strumento di tutela costituito dal ricorso per esecuzione del giudicato che, assegnando al giudice potestà valutative di merito e poteri di sostituzione dell’amministrazione inadempiente, si rivela la fase processuale più idonea a garantire quella reintegrazione in forma specifica, anche degli interessi pretensivi, che, nella sede ordinaria di cognizione, resta preclusa dai rilievi sopra formulati.
6.4.3- Lo strumento di tutela in questione va ricondotto, in definitiva, nell’ambito dell’attuazione del giudicato, se inteso come finalizzato a garantire il rilascio del provvedimento favorevole (nel caso di specie: l’aggiudicazione dell’appalto), ed in quello della cognizione ordinaria, se inteso come funzionale a garantire l’utilità (minore) dell’effetto conformativo nell’attività rinnovatoria riservata all’amministrazione.
6.4.4- Secondo la ricostruzione prospettata, il risarcimento per equivalente, che, per la lesione degli interessi legittimi pretensivi, si rivela sussidiario e residuale rispetto alla reintegrazione in forma specifica, risulta, invece, configurabile solo nei casi in cui il conseguimento del bene della vita non è più possibile mediante la riedizione dell’attività provvedimentale lesiva (ad esempio, perché l’appalto è stato integralmente eseguito) o nelle ipotesi in cui il mero ritardo nel rilascio del provvedimento favorevole (per esempio, di una concessione edilizia o di un’autorizzazione commerciale) ha prodotto, di per sé, un pregiudizio patrimoniale (non eliminabile dalla sola, successiva adozione dell’atto ampliativo).

6.5- Ciò che la Sezione reputa di escludere, in sintesi, è l’ammissibilità, ad ordinamento vigente, di una condanna dell’amministrazione ad un facere, da ritenersi circoscritta alle limitate ipotesi del rito speciale sull’accesso ai documenti amministrativi (art. 25, comma 6, legge 7 agosto 1990, n. 241) e sul silenzio (art. 21-bis, comma 2, legge n. 1034/1971).

6.6- Chiarirà, in definitiva, l’Adunanza Plenaria se sia ammissibile la condanna della pubblica amministrazione all’adozione di un determinato provvedimento e, in caso di risposta affermativa a tale quesito, a quali condizioni possa pronunciarsi un ordine siffatto.

7- Resta, ancora, da precisare secondo quali parametri dev’essere valutato, nel giudizio ordinario (se si ammette ivi la condanna dell’amministrazione ad un facere) o in quello di attuazione del giudicato (se si ammette, come ritiene la Sezione, il cumulo delle relative azioni), il limite stabilito dall’art.2058 c.c. alla praticabilità della reintegrazione in forma specifica e, in particolare, se l’eccessiva onerosità per l’amministrazione della sostituzione dell’appaltatore in corso di rapporto debba essere valutata sulla base delle sole allegazioni della parte committente e dell’interesse pubblico alla corretta esecuzione dell’appalto (come ritenuto da T.A.R. del Lazio, sez. III ter, 13 febbraio 2003, n.962), ovvero se tali apprezzamenti competano al sindacato discrezionale del giudice (svincolato, come tale, dalle – altrimenti stringenti – valutazioni espresse dall’amministrazione interessata) e se debbano comprendere tutti gli interessi coinvolti (e non solo quello pubblico).

8.- Sulla base di tali premesse, nel deferire il giudizio all’Adunanza Plenaria, si riassumono, ordinandole nei termini che seguono, le questioni in precedenza illustrate, dalla cui risoluzione derivano i possibili moduli di definizione della vertenza:
a) la sorte del contratto d’appalto stipulato sulla base di un’aggiudicazione annullata;
b) l’applicabilità alla fattispecie considerata degli artt.23 e 25 c.c.;
c) la sussistenza della giurisdizione amministrativa con riferimento alle domande ed al corrispondente tipo di decisioni elencate e descritte al punto 5) dell motivazione:
d) l’ammissibilità, nel giudizio di cognizione, della condanna della pubblica amministrazione al rilascio di un provvedimento favorevole al ricorrente;
e) i presupposti di applicabilità dell’art. 2058 c.c. .

marco panaro
00martedì 22 giugno 2004 15:53
Tribunale Amministrativo Regionale Calabria Catanzaro 14/6/2004 n. 1414

Deve premettersi che può considerarsi acquisito il dato relativo alla instaurazione tra le parti, per effetto dell’aggiudicazione definitiva, del vincolo contrattuale.

A tacere della conferma che a tale assunto ha dato la stessa difesa della resistente amministrazione – pur nell’articolare l’eccezione di difetto di giurisdizione sulla quale tra breve questo Tribunale si pronuncerà – deve richiamarsi il pacifico indirizzo interpretativo secondo cui “nei contratti di appalto stipulati dalla P.A. con il sistema della licitazione privata, il processo verbale di aggiudicazione definitiva equivale di regola, ad ogni effetto legale, al contratto con forza immediatamente vincolante per la stessa amministrazione, in virtù dell’art. 16 del R.D. n. 2440 del 1923 : esso pertanto costituisce l’unica fonte del rapporto obbligatorio fra le parti, a meno che non risulti espressamente il comune intento delle parti di rinviare la costituzione del vincolo alla stipulazione del contratto” (così Cass., Sez. I, sent. n. 11513 del 19 novembre 1997, nonché sent. n. 8420 del 21 giugno 2000).

Ebbene, occorre evidenziare che la lex specialis, lungi dal contemplare fasi negoziali successive all’aggiudicazione, afferma espressamente ( cfr. il contenuto della lettera di invito ) che “l’aggiudicazione avrà la durata di anni tre dalla data di adozione del relativo atto deliberativo” : previsione che assegna chiaramente all’aggiudicazione, oltre alla funzione di determinare l’insorgenza del rapporto contrattuale ( come si desume dalla coincidenza temporale della sua efficacia con quella del rapporto di fornitura ), quella ulteriore di fissarne la decorrenza già a far tempo dalla sua adozione.

Dal momento poi che le vicende del rapporto eventualmente generatosi per effetto dell’aggiudicazione ( o degli atti ad essa successivi ), conseguenti all’annullamento dell’aggiudicazione medesima, appartengono all’ambito di cognizione del giudice amministrativo secondo l’indirizzo espresso da recente giurisprudenza ( Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2332 del 5 maggio 2003 ), non può non richiamarsi l’orientamento, da essa parimenti formulato, che riconnette al venir meno del provvedimento di aggiudicazione l’automatica cessazione di efficacia del vincolo contrattuale : cessazione che deve quindi dichiararsi, in accoglimento della corrispondente domanda attorea.

Resta implicitamente respinta l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo articolata, sul punto, dalla difesa della A.S.L..

E’ insito altresì, nei poteri del Tribunale così come delineati dalla citata giurisprudenza del giudice di appello, la delimitazione ratione temporis della perdita di efficacia del vincolo contrattuale : delimitazione che può essere operata conformemente alla domanda attorea di fare salvi gli effetti prodottisi medio tempore, alla luce dei principi civilistici di irretroattività degli eventi risolutori concernenti rapporti contrattuali caratterizzati da modalità continuative o periodiche di esecuzione ( cfr. artt. 1360, 1458 e 1467 c.c. ).
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