T.A.R. Lombardia–Milano – Sez. III - Sentenza 7 giugno 2004, n. 2360
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FATTO
La ricorrente, in data 8 gennaio 2003, è stata dichiarata aggiudicataria della gara indetta dalla Biblioteca Universitaria di Pavia avente ad oggetto i lavori per l’adeguamento degli impianti di sicurezza presso l’immobile demaniale “Palazzo Centrale”.
In sede di verifica (successiva all’aggiudicazione), l’Amministrazione, dopo aver acquisito il certificato del Casellario giudiziale ai sensi dell’art. 10 della legge n. 15/1968, ha rilevato che nei confronti del legale rappresentante della società era stata emessa, in data 12 maggio 1994, sentenza di “patteggiamento” (ex art. 444 c.p.p. e ss.) per il reato di cui all’art. 317 del codice penale.
Essendo trascorsi ormai 10 anni dalla pronuncia, il predetto rappresentante della società ha chiesto al GIP presso il Tribunale di Milano la declaratoria di estinzione del reato, ai sensi dell’art. 445, comma 2, c.p.p., che veniva concessa in data 9 maggio 2003.
Con verbale del 16 luglio 2003, la stazione appaltante, su conforme parere dell’Avvocatura dello Stato, ha proceduto alla revoca dell’aggiudicazione provvisoria in favore della società Tecnoimpianti e, successiavamente (lettera del 23 luglio 2003), all’escussione della cauzione provvisoria ai sensi dell’art. 30 della legge n. 109/1994.
Avverso tali atti, ed ogni altro a questi connesso, presupposto e conseguenziale, ha proposto impugnativa la società interessata, chiedendone l'annullamento, previa sospensione dell’efficacia, ed il risarcimento dei danni per i seguenti motivi:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 75, comma 1, lett. C) del D.P.R. 554/1999; violazione degli artt. 2 e 3 della legge n. 241/90; contraddittorietà manifesta.
La stazione appaltante, nel conformarsi ai pareri resi dall’Avvocatura dello Stato, ha errato nel ritenere che la dichiarazione giudiziale di estinzione del reato avesse valenza costituiva e non meramente dichiarativa.
L’estinzione del reato, diversamente dalla sentenza di riabilitazione che ha effetti estintivi sulla pena, opera ex lege allo spirare dei cinque anni qualora, come richiesto dall’art. 445, comma 2, c.p.p., non siano stati commessi altri reati della stessa indole.
Tale interpretazione è confermata dalla circolare del Ministero dell’Interno del 25 novembre 1998.
Nel caso di specie, quindi, il reato era estinto sin dal 1999 e, pertanto, la società era in possesso di tutti i requisiti per poter partecipare alla gara indetta nel 2002.
L’art. 75, comma 2, lett. C), peraltro, richiama espressamente l’art. 445, comma 2 c.p.p., sebbene la sua valenza automatica è stata negata dall’Avvocatura dello Stato;
2) violazione dell’art. 75 del D.P.R. n. 554/1999; violazione degli artt. 2 e 3 della legge n. 241/90; difetto assoluto di istruttoria e motivazione.
Anche a voler ammettere il valore costitutivo della dichiarazione giudiziale di estinzione del reato, la revoca dell’aggiudicazione è comunque priva di motivazione in quanto fa discendere automaticamente dalla presenza della fattispecie delittuosa (estinta) la mancanza di affidabilità morale e professionale;
3) violazione e falsa applicazione del principio della massima partecipazione dei ricorrenti alla gara in assenza di espresse clausole di esclusione; violazione del principio di affidamento nell’interpretazione delle clausole del bando; eccesso di potere per sviamento e proporzionalità; travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; violazione delle norme e dei principi generali in materia di pubbliche gare; irragionevolezza; violazione del principio di proporzionalità.
La clausola del bando che prevede la dichiarazione dei reati che precludono la partecipazione alla gara non può essere “letta” nel senso che la ricorrente avrebbe dovuto dichiarare anche quelli non più giuridicamente esistenti.
L’interpretazione fornita al riguardo dalla stazione appaltante si pone in contrasto con il principio della massima partecipazione dei concorrenti alle procedure di gara anche perché l’Amministrazione, qualora ne avesse avvertito l’esigenza, avrebbe dovuto richiedere in modo inequivoco di dichiarare anche i reati estinti;
4) violazione di legge; eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; eccesso di potere per sviamento della causa; vizio assoluto di motivazione; violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90.
Il provvedimento di incameramento della cauzione è, innanzitutto, privo di motivazione.
Esso è, altresì, illegittimo per sviamento in quanto l’escussione della garanzia è subordinata alla prova di aver reso dichiarazioni mendaci.
Nel caso di specie, la ricorrente non ha reso dichiarazioni mendaci e, comunque, manca l’intenzionalità della condotta attesa l’inesistenza giuridica del reato ai sensi dell’art. 445, comma 2, c.p.p..
(...)
DIRITTO
1. I primi tre motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente risultando intrinsecamente connessi e costituendo, comunque, profili diversi di un’unica censura.
2. La società ricorrente censura il giudizio della stazione appaltante circa la mancanza di affidabilità morale e professionale della società (art. 75,comma 1, lett. c., del DPR n. 554/99) in quanto basato su un reato ormai estinto ex art. 445, comma 2, c.p.p. e, comunque, privo di specifica motivazione sul punto.
2.1 Le doglianze proposte, ad un esame più approfondito di quanto consentito in sede di cognizione sommaria, ed in conformità all’orientamento espresso nella fase cautelare del giudizio dal giudice di appello, vanno accolte nei termini che seguono.
Al riguardo, assume carattere decisivo la sequenza cronologica degli eventi.
In particolare:
in data 8 gennaio 2003, la ricorrente è risultata aggiudicataria della gara in argomento;
in sede di verifica delle dichiarazioni rese nel corso della procedura selettiva, l’amministrazione ha richiesto il certificato del casellario giudiziale dal quale è risultato che il legale rappresentante della società era stato condannato nel 1994, con sentenza di “patteggiamento” ex art. 444 c.p.p., per il reato di cui all’art. 317 c.p.;
in data 9 maggio 2003, su richiesta della ricorrente, il GIP presso il Tribunale di Milano ha rilasciato la dichiarazione di estinzione del reato essendo trascorsi 5 anni dalla pronuncia, ai sensi dell’art. 445, comma 2, c.p.p.;
il 16 luglio 2003, l’amministrazione ha revocato l’aggiudicazione della gara già disposta in favore della società Tecnoimpianti con conseguente richiesta di escussione della cauzione provvisoria.
La descritta successione temporale dei momenti della procedura ad evidenza pubblica consente di rilevare che la ricorrente, all’atto della presentazione dell’offerta e fino alla verifica delle dichiarazioni rese, non era in grado di comprovare l’intervenuta estinzione del reato.
Solo successivamente, il legale rappresentante della società ha presentato istanza di estinzione poi concessa, nel maggio 2003, dal GIP del Tribunale di Milano previo accertamento dei requisiti previsti dall’art. 445, comma 2, c.p.p. (decorso di 5 anni dalla pronuncia e mancata commissione, nel periodo, di altri reati della stessa indole).
Ora, sebbene le difese delle parti abbiano dedotto ampiamente sul punto, non sembra al Collegio che l’individuazione della natura (dichiarativa con efficacia ex tunc ovvero costitutiva con efficacia ex nunc) della predetta dichiarazione giudiziale di estinzione del reato possa assumere carattere decisivo nella definizione della controversia in quanto l’utilizzo di istituti processual-penalistici (come quello in argomento) in ambiti diversi da quelli in cui sono stati inseriti dal legislatore può risultare fuorviante.
Ciò che invece assume rilievo nel caso di specie è l’individuazione della corretta interpretazione dell’art. 75, comma 2, del DPR n. 554/99 e soprattutto la valenza del richiamo operato all’art. 445, comma 2, c.p.p..
Sul punto, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di affermare che non si può dare particolare rilievo all’avvenuta estinzione del reato di cui alla pena patteggiata per decorso del termine quinquennale ex art. 445, comma 2, c.p.p. anche perché, secondo un pronunciamento della Suprema Corte in sede penale, l’estinzione di ogni effetto penale non trova applicazione in relazione all’eliminazione dell’iscrizione della sentenza nel casellario giudiziale, dal momento che tale iscrizione non rientra tra gli effetti penali della condanna (cfr. Cons. St., sez. V, 25 gennaio 2003, n. 352).
In conseguenza, anche a fronte di una pronuncia di estinzione, la Pubblica Amministrazione è in grado di venire a conoscenza delle sentenze di condanna intervenute nei confronti del soggetto interessato e, pertanto, il problema che si pone all’interprete è quello di stabilire quale valore la stazione appaltante può attribuire a tale risultanza soprattutto quando, come nel caso di specie, la dichiarazione giudiziale di estinzione è intervenuta prima del provvedimento di revoca dell’aggiudicazione disposto dalla stazione appaltante ed i presupposti per la concessione del particolare beneficio fossero già esistenti dall’anno 1999 (risalendo la sentenza di “patteggiamento” all’anno 1994).
Atteso quanto sopra, e considerato che l’estinzione del reato di cui all’art. 445, comma 2, c.p.p. è basata sulla verifica di due requisiti (decorso di un quinquennio e mancata commissione di altri reati della stessa indole), tanto da far dubitare che tali presupposti possano essere provati attraverso un’autocertificazione dell’interessato senza una pronuncia del giudice competente, stima il Collegio che l’art. 75, comma 2, del DPR n. 554/99, configuri, in via generale, una causa di esclusione automatica dalle procedure di affidamento degli appalti nei confronti di coloro che sono stati condannati, anche con una sentenza ai sensi dell’art. 444 c.p.p., per un reato che incida sull’affidabilità morale e professionale.
La clausola di salvezza rappresentata dal richiamo all’art. 445, comma 2, c.p.p. sembra quindi doversi intendere nel senso di escludere ogni forma di automatismo in presenza di una causa di estinzione del reato senza che ciò precluda, tuttavia, la possibilità per l’amministrazione aggiudicatrice (o perché richiesto dal bando di gara di indicare anche tali reati ovvero perché risultante dal certificato del casellario giudiziario) di valutare comunque gli stessi fatti materiali al fine di accertare l’affidabilità morale e professionale dell’impresa.
In quest’ultimo caso, la stazione appaltante, per giustificare l’eventuale provvedimento di esclusione dalla gara, è chiamata ad effettuare un’approfondita valutazione che coinvolga i vari aspetti della fattispecie materiale e a motivare compiutamente in ordine alle ragioni che potrebbero incidere sulla natura fiduciaria del rapporto: ciò soprattutto con riferimento a quei reati di particolare gravità che escludono il soggetto condannato dalla possibilità di contrattare, seppure temporaneamente, con la Pubblica Amministrazione.Del resto, ciò appare confermato dalla recente giurisprudenza amministrativa (cfr Cons. St., sez. V, 16 giugno 2003, n. 3380) secondo la quale, una volta verificatosi il presupposto dell'accertamento irrevocabile della condotta sanzionata, gli effetti ulteriori che si connettono alla peculiarità del procedimento penale (come l’estinzione del reato) non si ripercuotono automaticamente sulla causa di esclusione dalle gare e più in generale sul procedimento amministrativo.
Allo stesso modo, un’altra recente pronuncia (Cons. St., sez. IV, 27 aprile 2004, n. 2538), sebbene resa in una fattispecie diversa (affidabilità morale e professionale dell’impresa ex art. 12, lett. b., del D.Lgs n. 157/95 e reato depenalizzato prima dell’indizione della gara) ma comunque espressiva di un principio applicabile al caso di specie, ha chiarito la “ratio” della norma che collega l’esclusione automatica alla generalità delle trasgressioni incidenti sulla moralità professionale. Essa risiede nella considerazione, da parte del legislatore, che è qualificante la commissione del reato di una certa natura sotto l’aspetto sostanziale, nel senso che si vuole evitare l’affidamento del servizio a coloro che abbiano commesso reati pregiudizievoli degli stessi interessi collettivi che nella veste di aggiudicatari sarebbero chiamati a tutelare (cfr. Cons. St., sez. V, 27 marzo 2000, n. 1770), tanto da doversi ritenere ininfluenti le successive modificazioni della disciplina penale (nella specie, “depenalizzazione”) dei fatti oggetto dei delitti commessi seppure intervenute prima dell’espletamento della procedura selettiva.
Nel caso in esame è incontrovertibile che, in sede di verifica, la stazione appaltante sia venuta a conoscenza di una condanna esistente a carico del legale rappresentante della società ricorrente.
Il fatto che il delitto sia stato successivamente dichiarato estinto dal giudice penale, non escludendo la materialità dei fatti, non preclude all’amministrazione la possibilità di tenerne conto ai fini della eventuale aggiudicazione, anche se la stessa è tenuta a non fermarsi al dato formale della condanna ma ad esaminare i connotati concreti della fattispecie per poter valutare l’affidabilità morale e professionale dell’impresa.
Con il provvedimento impugnato la stazione appaltante, al contrario, nel richiamare i pareri resi dall’Avvocatura dello Stato, si è limitata a dare atto di una pronuncia penale di condanna facendo conseguire automaticamente l’esclusione dalla gara.
Il decorso del tempo, dal quale è poi scaturita la dichiarazione giudiziale di estinzione del reato, avrebbe dovuto imporre all’Amministrazione una verifica in concreto sull’affidabilità dell’impresa e sull’idoneità della stessa ad assumere un rapporto fiduciario con la stazione appaltante.
Anche su questo punto, la giurisprudenza amministrativa ha precisato che, nella sua ampiezza ed elasticità, il concetto di moralità professionale presuppone la realizzazione di un reato pienamente idoneo a manifestare una radicale e sicura contraddizione coi principi deontologici della professione, tenendo presente che la valutazione de qua non deve cristallizzarsi in criteri astratti e automatici, dovendosi invece essa adattare alle peculiarità del caso concreto, riferite tanto alle caratteristiche dell’appalto, quanto al tipo di condanna ed alle concrete modalità di commissione del reato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 1 marzo 2003, n. 1145 e 25 novembre 2002, n. 6482).
Nella specie, la stazione appaltante non ha dato in alcun modo conto della disamina di alcuni pur rilevanti connotati concreti della fattispecie penale chiamata in causa come, ad esempio, la natura dei fatti addebitati, il decorso del tempo (dal quale è scaturita la dichiarazione giudiziale di estinzione del reato), la rilevanza concreta del precedente penale sull’affidabilità del servizio da svolgere e, non da ultimo, le vicende relative al soggetto condannato.
In particolare, non si è proceduto ad un prudente apprezzamento delle ragioni che, nel concreto, precludevano l’eventuale affidamento del servizio in ragione del “precedente penale” stesso.
I margini di insindacabilità attribuiti all’esercizio del potere discrezionale dell’Amministrazione appaltante di valutare una condanna penale ai fini dell’esclusione da una gara d’appalto non consentono, infatti, al pubblico committente di prescindere dal dare contezza di aver effettuato la suddetta disamina e dal rendere conoscibili gli elementi posti alla base della eventuale definitiva determinazione espulsiva.
2.2 In conclusione, il provvedimento di revoca dell’aggiudicazione disposta dalla stazione appaltante è illegittimo con riferimento al profilo della mancata motivazione circa l’incidenza della fattispecie di reato, in relazione ai suoi connotati materiali, sull’affidabilità morale e professionale della società Tecnoimpianti.
3. Ne deriva l’ulteriore illegittimità, in via derivata, con effetto caducante, della aggiudicazione dell’appalto alla società controinteressata nonchè della nota del 23 luglio 2003 con la quale la stazione appaltante, ai sensi dell’art. 10, comma 1, quater e dell’art. 30 della legge n. 109/1994, ha chiesto di incamerare la cauzione provvisoria pari a euro 21.699,11. Detta nota è comunque sfornita di autonoma motivazione, sicchè deve accogliersi sotto tale assorbente profilo anche il quarto motivo dedotto.
4. Alla stregua delle suesposte considerazioni il ricorso deve essere accolto in “parte qua” con conseguente annullamento degli atti impugnati, salvi restando, comunque, gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.
5. Con riferimento alla richiesta risarcitoria, la difesa della ricorrente ha rappresentato nella memoria difensiva che l’appalto non è stato ancora affidato a terzi né è stata escussa la cauzione provvisoria, onde non vi sono, per il momento, danni da ristorare.
Pur tuttavia la stessa difesa ritiene che l’accoglimento del ricorso comporti di per sè una forma di risarcimento specifico consistente nell’affidamento dell’appalto indetto dalla Biblioteca universitaria di Pavia.
5.1 Sul punto, è necessario chiarire che l’annullamento del provvedimento di revoca dell’aggiudicazione nella presente vertenza non comporta automaticamente l’affidamento dell’appalto in favore della ricorrente in quanto la stazione appaltante dovrà nuovamente esprimersi, alla luce delle indicazioni sopra riportate, attraverso la riedizione del proprio potere discrezionale: solo all’esito della stessa potranno, se del caso, essere valutati eventuali danni da risarcire (per tutte, Cons. St., sez, VI, 15 aprile 2003, n. 1945).
5.2 Va, poi, osservato, concordemente alla più recente giurisprudenza amministrativa (da ultimo, Cons. St., sez. V, 15 marzo 2004, n. 1280 e Cons. St., sez. VI, 3 aprile 2003 n. 1716), che la reintegrazione in forma specifica del danno ingiusto, ai sensi dell’art. 35, comma 1, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come sostituito dall’art. 7, comma 1, lett. c), della legge 21 luglio 2000, n. 205, deve essere considerata alla stregua di un’alternativa risarcitoria ai sensi dell’art. 2058 del c.c, potendo quest’ultima intervenire anche per equivalente. Essa rimane un rimedio risarcitorio (o comunque riparatorio), ossia una forma di reintegrazione dell’interesse del danneggiato mediante una prestazione diversa e succedanea rispetto al contenuto del rapporto obbligatorio e non va confusa con l’obbligo conformativo dell’amministrazione al provvedimento del giudice.
L’adozione, da parte dell’amministrazione, di un determinato atto o comportamento attiene, infatti, a profili di adempimento e di esecuzione e non a quelli risarcitori in quanto rappresenta la doverosa esecuzione di un obbligo derivante da una pronuncia del giudice amministrativo.
5.3 Alla luce di quanto sopra, la domanda risarcitoria va respinta.
6. Sussistono, comunque, giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sez. III, pronunciando sul ricorso in epigrafe, così dispone:
lo accoglie in parte e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione;
lo respinge limitatamente alla domanda risarcitoria avanzata dalla società ricorrente.
Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.